Pane e videogiochi

Qual è, secondo voi, la madrelingua che accomuna tutti i nostri studenti e che prescinde da ogni colore, cultura e nazionalità?

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Potrebbe sembrare l’inizio di un discorso sulla diversità, ma non lo è, semplicemente perché la risposta alla mia domanda è: il digitale.

Ebbene sì, i nostri alunni sono cresciuti a pane e videogiochi, sono naufragati dolcemente nel mare di Internet che ancora gattonavano e il tablet o il cellulare rivestono per loro la stessa importanza della copertina per Linus. Sono loro i nativi digitali, ovvero il prodotto di un ambiente tecnologico che, proprio in quanto ambiente, ha influenzato e continua a influenzare il loro modo di pensare e di elaborare informazioni.

Che cosa significa?

Vuol dire che è molto probabile che, per via del modo in cui sono cresciuti, abbiano un cervello modificato rispetto al nostro. E quand’anche questo non fosse sufficientemente comprovato, resta certo che i loro modelli cognitivi sono cambiati.

Ciascuno di noi conosce il mondo che lo circonda e vi si relaziona attraverso il linguaggio che impara sin da piccolo e che gli consente di socializzare, lo stesso fanno i nostri alunni che sperimentano la vita e ne condividono pensieri ed emozioni attraverso il linguaggio che più li accomuna, il digitale.

Dove voglio arrivare?

Diciamo che per rispondere a questa domanda, potrei partire da me. Sono una docente di lettere, ma soprattutto sono una immigrata digitale, vale a dire una che, pur non essendo nata nell’era digitale, ad un certo punto della propria vita, nolente o volente, affascinata o no, si è accinta ad adottare alcuni aspetti della tecnologia (e ora è in attesa di adoperarne altri e sempre più numerosi!) conservando però, proprio come gli immigrati, il proprio accento. Un accento che si manifesta nella sfera privata, dove ad esempio continuo a preferire di sfogliare le pagine di un libro, di sottolinearne con la matita le frasi più significative, di appuntare ai margini le mie riflessioni, piuttosto che leggere un e-book, attivarne la funzione evidenziatore o quella inserisci note.

Questo è il mio accento, questi sono i miei gusti, insindacabili e inalienabili!

Ma quando rivesto il ruolo del docente le cose cambiano, perché cambiano i termini della relazione. Il mio accento e le mie preferenze personali escono fuori gioco, e subentrano i miei colleghi di lavoro, con cui necessita comunicare (anche e soprattutto fuori dai momenti istituzionali). E soprattutto entrano in scena gli alunni, i nostri principali interlocutori, con modalità conoscitive diverse dalle mie e che parlano un linguaggio differente dal mio, il digitale per l’appunto.

Ed ecco arrivati al quid, al nocciolo della questione!

In qualità di docente, i miei gusti personali non trovano spazio, perché ciò che conta, nel mio lavoro, è trovare le strategie comunicative migliori per promuovere l’apprendimento dei miei studenti. E se costoro parlano la madrelingua digitale, mi devo mettere nelle condizioni di imparare il loro linguaggio, perché altrimenti la comunicazione rischia di divenire unilaterale. Si tratta, in fondo, di arricchire le nostre strategie didattiche, senza abbandonare in toto le tradizionali. Si tratta di modificare le nostre metodologie, scegliendo quelle che meglio supportano l’apprendimento dei nostri nativi digitali.

Questo comporterà sicuramente formarsi sulle nuove tecnologie, un must al quale non possiamo più sfuggire: è la scuola come istituzione che ce lo chiede – leggi PNSD -, ma ce lo chiedono soprattutto i nostri alunni. Essi hanno ancora tanto da imparare da noi, perché, se è vero che parlano la madrelingua del digitale, se è vero che hanno sicuramente capacità superiori a noi adulti nell’operatività del web, è anche vero che sono molto carenti nell’usare con critica consapevolezza la Rete e gli altri strumenti che la tecnologia mette a disposizione. I nostri alunni ignorano completamente i risvolti didattici del digitale e continueranno ad ignorarli se noi continueremo a non insegnarglieli.

E allora formarsi sul digitale diventa la nuova sfida della classe docente: una sfida generazionale, la cui vittoria più grande sarà una nuova consapevolezza della propria professione, una professione arricchita dalla competenza digitale.

Una competenza, peraltro, spendibile anche fuori dalle mura scolastiche, nel proprio privato, con i propri figli o nipoti che siano, dai quali spesso ci sentiamo lontani anni luce e, i quali, esattamente come i nostri studenti, hanno bisogno di essere guidati nel mare magnum digitale, così insidioso per chi, come loro, non abbia la capacità di prevedere le conseguenze delle pratiche online, non sia in grado di gestire la “sovrabbondanza comunicativa” che la Rete offre non solo in termini di mole, ma anche in termini di attendibilità delle fonti.

E allora che cosa aspettiamo?

Mettiamoci in gioco, affrontiamo questa nuova prova! D’altra parte per noi docenti non è una sfida quotidiana quella di entrare nelle classi e cercare di catturare l’attenzione dei nostri alunni, carpire un loro assenso, svegliarli dal torpore intellettivo che così spesso li avvolge?

Il digitale ci vuole offrire un’opportunità. Cogliamola!

D’altra parte quale modo migliore di sperimentarne gli aspetti positivi e/o negativi se non usandone gli strumenti? Quanto bello sarebbe entrare nelle classi e leggere negli occhi dei nostri alunni il piacere di aver letto e compreso ad esempio un argomento di storia attraverso una lezione video? Finalmente le discipline da noi insegnate e tanto amate potrebbero ricevere l’agognato tributo, e questo non per merito del digitale in sé, ma perché vi abbiamo fatto ricorso in modo critico, consapevole, nell’ottica di una didattica più vicina al linguaggio parlato dai nostri nativi digitali.

Io ho intenzione di provarci. Come si dice, meglio rimorsi che rimpianti! E voi, mi accompagnate in questa avventura?

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Informazioni su Francesca della Malva

Professoressa di Italiano presso la scuola secondaria di 1° grado "Alighieri-Spalatro" di Vieste (FG). Ha conseguito la laurea in Lettere classiche presso l'Università di Bologna, città presso la quale ha vissuto fino al 2012 e a cui è molto legata. Ama molto viaggiare e quando non può farlo concretamente, organizza viaggi virtuali con i suoi alunni nelle ore di geografia. Crede nel lifelong learning come valorizzazione della società della conoscenza e dell'informazione; ama innovarsi e rinnovarsi soprattutto se in cooperazione e condivisione, in quanto pensa che insieme si cresce meglio, ci si arricchisce di più, gli stimoli sono maggiori e tutto è più semplice e divertente.

10 pensieri su “Pane e videogiochi

  1. Certo che sì…intendo rispettare e conservare i miei “accenti” così come quelli della nuova generazione digitale! Qualche decennio mi distanzia dell’agognato “pensionamento” (?) …non mi resta che remare PRO CORRENTE!!! COMPLIMENTI prof Della Malva, per il suo puntuale ed esaustivo punto di vista 😉

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  2. Pingback: Pane e videogiochi | Insegnanti 2.0

  3. Certo che sarò con te Francesca, non per niente sono la tua tutor e sono orgogliosa di esserlo. Hai detto bene: il digitale ci offre un’opportunità per essere connessi con i nostri ragazzi, perché non coglierla? 😜👍🏼

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  4. Mi sento identificato, ma vorrei aggiungere una dimensione. Non solo gli studenti, ma anche noi prof. dovremmo imparare a sfruttare il digitale… per noi! Non basta avere duecento strumenti online per fare cloze, cruciverba, match di items, e quant’altro. Bisogna anche e soprattutto sapere esattamente cosa metterci dentro, secondo i nostri studenti, il contesto, ecc. ecc. E su questo continuiamo a lavorare su base individuale, “sfogliando quà e là”, con infinità di raccolte parziali da mille fonti diverse (gruppi di prof, pagine di università, privati che mettono su blog, gente che carica video su YouTube…). È come trovarsi di fronte ad una biblioteca con migliaia di libri. Forse quello che cerchiamo c’è, ma… trovarlo? Una volta trovato qualcosa… ce ne sarà un altro? Migliore (più adatto alla nostra circostanza specifica di insegnamento)?
    Io insegno italiano a stranieri. In questa presentazione ho cercato di cominciare a spiegare cosa intendo. So che non è facile per chi non è “nativo digitale” capire il concetto. Si tratta di caricare “tutto” su un solo sito, in modo che non ci siano ripetizioni, ma solo indicizzazioni. Questo non esiste ancora, ma io sto facendolo. Per ora ci sono solo fogli GSheet un po’ difficili da usare per chi non ha dimestichezza con i fogli di calcolo, ma se esistesse un programma online che ci porta in un solo “workflow”, all’interno dello stesso spazio virtale, dalla parola all’attività concreta, sia stampabile che online… https://dl.dropboxusercontent.com/u/15269511/Centro%20Lingua%20Italiana%20REDyVIVA%20public/Presentazione%20REDYVIVA.pdf

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  5. Grazie della tua risposta. Sicuramente la formazione del docente sulle tecnologie deve essere a 360° e dovrebbe comprendere anche l’apprendimento di quelle strategie, come dici tu, che consentano di sfruttare le risorse digitali anche in una prospettiva di ottimizzazione dei tempi di lavoro. Inutile dire che il workflow a cui tu auspichi, una sorta di archivio delle buone pratiche digitali, sarebbe fantastico! Un catalogo informatizzato on-line ad accesso pubblico, il corrispettivo di quello che è l’OPAC delle biblioteche, sostitutivo dei vecchi cataloghi cartacei!
    Però, il processo di indicizzazione lo lascerei agli esperti del mestiere (a ciascuno il suo!) …a noi docenti basterebbe conoscere le strategie di ricerca e le modalità con cui inserire le nuove risorse.
    Eh si, sarebbe proprio una buona idea da mettere in pratica! Speriamo che a qualcuno venga in mente di ideare un software da adottare a livello nazionale: le scuole o le reti di scuole potrebbero acquistarlo e indicizzare le proprie pratiche didattiche.
    Aggiungo che la dispersione delle risorse che tu denunci è un po’ la foto della divisione interna che c’è nel mondo della scuola, dove l’individualismo continua a regnare sovrano, dove manca ancora una politica comune sulla condivisione della conoscenza. Ma le cose possono cambiare: l’importante è non remare contro il cambiamento, ma accoglierlo a braccia aperte.

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  6. Pingback: Chi ha paura del digitale? – FERMINUANIMADIG

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