Ancora prima del tablet

Lo ammetto sono una docente ICT addicted.

Mi piace utilizzare le tecnologie nel mio lavoro e anche al di là del mio lavoro. Senza il mio computer portatile o il mio tablet mi sentirei senza strumenti. Ho un smartphone di ultima generazione che utilizzo per tutto: posta elettronica, messaggistica istantanea – anche se non mi sono ancora convertita a Telegram! – appunti vocali e scritti, raccolte varie di applicativi, foto-documentazione delle attività che realizzano i miei alunni in classe. Ancora prima di passare all’insegnamento utilizzavo, nel mio lavoro di allora, diverse risorse che poi ho riconvertito ed applicato nella pratica didattica.

attività 3a (1)

Per questo sono tra quelli che crede nell’uso consapevole della tecnologia in classe. Il docente per me deve essere un tramite anche nel percorso di utilizzo mirato del digitale che i nostri alunni e studenti devono intraprendere fin da piccoli.

Tuttavia credo fermamente che, ancora prima di accendere un pc, di fare ricerche in Internet per approfondimenti didattici, ancora prima di provare le ultime app che la rete ci fa conoscere grazie ai volenterosi sperimentatori didattici che ogni giorno pubblicano sui social aggiornamenti, come “professionista della scuola” devo mettere in atto tutta una serie di azioni per farmi “riconoscere come docente”, o meglio come guida in classe.

Puntare a costruire la relazione con i nostri alunni deve essere il primo obiettivo; il resto viene dopo.

Se non si trovano le chiavi d’acceso (e ce ne sono tante – a volte – tante quante sono le tipologie di allievo presenti in classe), nessuno  strumento all’avanguardia potrà aiutarci a far lezione in classe.

Da diversi anni utilizzo l’approccio flipped classroom con i miei alunni, ma sono fermamente convinta che i nostri ragazzi non li “freghiamo con un video”. Siamo lontani dagli anni ‘90 quando cominciavano timidamente ad apparire nelle scuole italiane i primi tentativi per la realizzazione di lezioni multimediali con videoproiettori e strumenti di presentazione che immediatamente attraevano per la novità i nostri alunni. Oggi i ragazzi devono essere  accompagnati in un percorso didattico personalizzato e multifunzionale e per far questo è necessario essere riconosciuti come leader di classe.

Curare la relazione educativa dovrebbe essere il primo passo per gettare le basi di un efficace metodo di insegnamento. Non  mi piace parlare di strategie, ma di strumenti appropriati. Quali?

Penso che sia opportuno cominciare dalla fine.

Cosa vogliamo che ci sia nelle nostre classi?

Innanzi tutto il clima giusto per fare lezione (qualunque sia il metodo che noi scegliamo per far lezione). Il clima adeguato per avere l’attenzione dei nostri allievi, per avere la loro collaborazione in modo tale da avere risultati tangibili.

Ci sono delle regole basilari che a mio avviso funzionano anche nelle classi più turbolente e variegate.

Innanzitutto mantenere la calma

Alzare la voce per sovrastare il rumore prodotto dai ragazzi ha come risultato l’aumento del livello del frastuono. Mantenere i toni bassi, invece, attira l’attenzione… fosse solo perché i ragazzi non se lo aspettano.

Abbandonare la postazione del primato

La cattedra per me è un ancestrale strumento di una didattica anacronistica, quella che divide lo spazio tra docente e alunno, ponendo il primo in una posizione preminente e separandolo fisicamente dai secondi. Aumentando la separazione si perde o non si ottiene il controllo della classe. La cattedra invece dovrebbe servire al docente per un brevissimo intervallo di tempo ad inizio lezione, per svolgere le pratiche burocratiche routinarie come segnare le assenze o i compiti assegnati per casa sul registro. Inoltre la vecchia grande cattedra toglie spazio che in alcune scuole è già troppo esiguo. La soluzione potrebbe essere il “banchetto docente”, giusto un accessorio per poggiare il libri ed il registro di classe (se ancora è cartaceo).

E’ lo spazio tra i banchi il luogo del docente in classe.

Questo evita anche che nelle ultime file si svolgano pratiche non autorizzate come l’uso improprio del cellulare o il rito della copiatura dei compiti dell’ora successiva. La soluzione sta nella peripateticità del docente che, tra l’altro, in questo modo si dimostra più vicino ai ragazzi e può, durante la spiegazione o durante le esercitazioni ed i lavori svolti in classe, aiutare nel superare momentanee difficoltà di comprensione.

Osservare

Questa pratica è molto produttiva perché permette di verificare, a volte anche precocemente, l’insorgenza di problematiche relazionali tra compagni di classe o nello svolgimento delle attività didattiche. Naturalmente l’osservazione risulta più produttiva se stiamo vicino ai ragazzi (torna al punto precedente!).

Comunicare (e non pensare di perdere tempo, ma di investire tempo)

Comunicare non solo per spiegare cosa ci aspettiamo dagli alunni, ma comunicare anche su fatti personali raccontando aneddoti e situazioni. Questo modo di fare ci renderà umani e non “solo docenti”. A volte i ragazzi pensano che la vita del docente si svolga solo in classe, mentre parlare di cosa facciamo dopo, prima di quali sono i nostri interessi al di fuori della scuola, ci potrebbe far trovare punti di contatto da cui far partire una relazione didattica produttiva.

Essere trasparenti

Perché secretare il voto?

Questo non l’ho mai capito. Se faccio una cosa voglio sapere com’è il risultato. Non comunicare il voto subito dopo un’interrogazione a che serve? In ogni caso i voti degli scritti li comunichiamo sempre.

Ma non è solo il voto che deve essere comunicato ai ragazzi, è il modo con cui noi docenti arriviamo al voto. Ma soprattutto deve essere chiarito una volta per tutti che il voto non è alla persona, ma al prodotto della persona (compito o verifica orale). Se metto quattro, non vuol dire che tu sei un quattro, ma che in base agli indicatori di valutazione (che noi dobbiamo rendere espliciti) il compito vale quattro. Per questo motivo ritengo un utile strumento la pratica dell’autovalutazione. Che non vuol dire che il voto che metterò sul registro è quello che si sono assegnati i miei alunni, ma che sulla base della griglia di valutazione unica (per loro e per me) io assegno un valore e discuto insieme a loro il perché ho dato quel determinato punteggio. In questo modo gli alunni imparano dall’errore e la volta successiva magari faranno altri errori, ma quello che ha contribuito al voto basso non lo faranno.

Usare un vocabolario positivo

Per prima cosa non mettiamo in evidenza cosa non va in un compito, ma cosa c’è di buono, di positivo. Se in un compito con dieci domande due sono state fatte in modo corretto segnaliamolo. Questo non è buonismo, ma evidenziare il punto da cui partire per migliorare senza buttare giù l’esigua motivazione che soprattutto gli alunni meno dotati hanno.

Fare insieme

Spesso chiediamo specifiche prestazioni di tipo creativo ad esempio scrivere una storia, una poesia, o suonare uno strumento, o ancora realizzare un video. Facciamo vedere cosa noi sappiamo fare. Se spieghiamo il testo poetico e chiediamo di scrivere una poesia, tiriamo fuori le nostre poesie che abbiamo scritto da ragazzo e leggiamole in classe.

L’esempio funziona sempre!

Lo scorso anno raccontando della mia precedente esperienza lavorativa come biologa in un’azienda farmaceutica, evidentemente ho attirato l’attenzione di qualche alunno se poi, senza che neanche lo avessi chiesto, ho ricevuto una mail in cui un’alunna spiegava come aveva messo su uno studio di efficacia di un insetticida casalingo con tanto di controllo negativo. E queste sì che sono soddisfazioni per una docente di scienze!

A questo punto qualcuno starà pensando che nel frattempo che pongo le basi per la gestione della classe è finito l’anno scolastico perché abbiamo perso molto tempo.

Alt!

Non perdiamo tempo, ma lo stiamo investendo. Posso anche passare un mese a fare cose diverse dal seguire il programma (per alcuni esiste ancora!), ma poi alla lunga guadagno nel clima positivo che ho contribuito a realizzare in classe.

Per concludere quindi non bisogna avere fretta di mettere in mano un tablet ai nostri alunni. Il lavoro, qualsiasi esso sia in classe, riesce meglio ed è realmente produttivo per tutti, se dedico tempo a relazionarmi nel modo più appropriato con ognuno degli alunni presenti.

Ognuno darà indietro qualcosa, ognuno con i propri tempi e le proprie capacità e nel frattempo avrò capito quali chiavi utilizzare per avere risultati reali, diffusi e non solo di pochi.

Vuoi approfondire? Ecco qualche link per te.

Gestire le interruzioni in classe

Strumenti per il pronto intervento in classe

La relazione educativa di Salvina Lipani

E se ti va, puoi guardare il  webinar sulla Relazione educativa nella classe capovolta (e non solo).

La relazione educativa nella classe capovolta (e non solo)

Questo articolo è stato pubblicato in Didattica, In classe, Testimonianze e contrassegnato come , da Grazia Paladino . Aggiungi il permalink ai segnalibri.

Informazioni su Grazia Paladino

Docente di scienze e matematica presso la scuola secondaria di I grado dell' I.C. "Giovanni Falcone di San Giovanni La Punta (Catania). Da sempre si occupa di disturbi dell' apprendimento ed inclusione. Nella pratica didattica utilizza le tecnologie, metodi laboratoriali e l'apprendimento collaborativo tramite l' approccio della classe capovolta per permettere a tutti di raggiungere gli obiettivi formativi e di inclusione. E' formatrice riguardo ai temi della didattica per competenze e la classe capovolta. Le sue attività si trovano sul sito personale capovolgilescienze.altervista.org e. Amministra insieme a Maurizio Maglioni e Fabio Biscaro il gruppo Facebook "la classe capovolta" ed "Il compito autentico nella classe capovolta"

4 pensieri su “Ancora prima del tablet

  1. Sono d’accordissimo con te Grazia, condivido in pieno il tuo pensiero. Più volte ho constatato sul campo che le reazione dei ragazzi cambia a seconda di come noi docenti proponiamo la lezione. Anch’io punto innanzitutto a costruire una relazione positiva con i miei alunni, infatti questo li porta a studiare, a volte, più per non deludermi, che per un interesse innato verso lo studio. E’ importantissimo che ci riconoscano come tu stessa hai detto “professionisti della scuola”! Grazie per questo tuo contributo 😉

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  2. “Puntare a costruire una relazione con i nostri alunni deve essere il primo obiettivo… il resto viene dopo!” Questa frase sintetizza bene tutto l’articolo e dovrebbe rappresentare davvero il punto di partenza di ogni docente a prescindere dall’uso delle tecnologie in classe. La relazione docente/alunno era, è e rimarrà sempre, anche nell’era digitale – checché se ne pensi o dica – l’elemento fondante del processo educativo. Grazie per averlo ribadito, Grazia!

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  3. Pingback: La flipped classroom non è una moda! | docentiattenti

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