Insegnanti “a distanza”

Così, da un giorno all’altro, la maggior parte degli insegnanti si è ritrovata a dover fare didattica a distanza utilizzando strumenti digitali. Ma come funziona esattamente non è chiaro a tutti. Qualcuno si lamenta: non ci sono indicazioni univoche! Nessuno ci ha ha detto quali strumenti utilizzare! Non rientra nei nostri compiti contrattuali, esplodono i sindacalisti! Le direttive all’inizio sono state generiche, l’organizzazione delegata alle singole scuole, dirigenti, animatori digitali. Nella maggior parte dei casi si è fatto appello alla buona volontà, alle competenze e agli strumenti personali dei docenti per raggiungere gli alunni isolati nelle proprie case. Gli insegnanti italiani ci stanno provando a lavorare in smart working ma la verità è che non sono preparati!

Eppure…

Il Piano nazionale per la formazione digitale dei docenti (e non solo) esiste dal 2015 (PNSD) e da allora qualche corso sull’uso del digitale nella didattica l’hanno fatto un po’ tutti, magari proprio online. Il digitale, però, non è qualcosa che impari e rimane per sempre o che puoi “rispolverare” con un ripasso riaprendo le pagine del taccuino (cartaceo) dove hai preso diligentemente appunti mentre l’animatore digitale spiegava l’uso del cloud o della piattaforma didattica. La pratica, nel digitale, è indispensabile per consolidare le conoscenze, ma soprattutto per sviluppare e affinare le competenze. Si impara confrontandosi, sbagliando, provando, riprovando, cercando, sperimentando, collaborando. Si impara scendendo in campo! Non esiste un sapere predefinito e immutabile, tutto è in continua evoluzione, tutto si aggiorna (e meno male!) e bisogna cercare di stare al passo per non rimanere tagliati fuori.

L’importante è che l’azione didattica non si interrompa – incalza il MIUR dopo le prime indicazioni – e che la mera trasmissione di materiali venga abbandonata progressivamente poiché non assimilabile alla didattica a distanza.  Doverosa puntualizzazione. E finalmente, dopo qualche giorno di inevitabile parapiglia e chat di Whatsapp stracariche di compiti 😟, tanti dovrebbero aver capito un po’ meglio la questione! Ci si aspetta in sostanza che maestri e prof – pur rimanendo a distanza – facciano ciò per cui vengono pagati in presenza, cioè che non si limitino a inviare materiali da studiare alla classe, ma propongano esercitazioni, assegnino dei compiti (meglio se pochi!) e li correggano inviando un feedback personalizzato ai propri studenti, fornendo una valutazione formativa che accompagni l’alunno nel processo di apprendimento fino all’acquisizione di nuove conoscenze e competenze. Il tutto cercando di curare ancor più, viste le intrinseche difficoltà del momento, la relazione educativa con tutti gli alunni. Questo il senso della nota del MIUR dell’8 marzo e le successive precisazioni,  sempre più chiare dal punto di vista delle metodologie didattiche da adottare a distanza.

Ok, ricevuto!

Più di un docente, a questo punto, ha ricominciato a tremare mentre i genitori (trasformati in maestri dei loro figli) tiravano un respiro di sollievo… Quanto tempo ci metterò a correggere tutti i compiti che ho assegnato? Come me li farò inviare e come li restituirò ai miei alunni? Se Whatsapp non va bene (forse non si è ancora capito 😡), come farò a inviarne altri? Posso usare il registro elettronico? Esisterà un modo per continuare a spiegare la mia lezione dal salotto di casa? Accidenti, ho lasciato i libri a scuola! Chissà come si fa a scaricare la versione digitale?! E gli alunni ce l’avranno? Ora che ci penso mi servirebbe pure una lavagna! Li potrò interrogare per telefono? E se sbirciano il libro? E se la mamma suggerisce? E i compiti in classe, li faremo ancora? Sul foglio di carta o sul computer? Sì, ma se poi scopiazzano da Internet? E li potrò valutare? Dove li segno i voti? Uffa, questa proprio non ci voleva, rimarrò indietro col programma!

Certo il periodo non è dei migliori! E alle ansie che già ci pervadono, la maggior parte dei docenti unisce anche la preoccupazione per l’impossibilità di replicare, dietro a un computer o a uno smartphone, i rassicuranti rituali della tradizionale lezione in presenza, con conseguente senso di frustrazione e impotenza.

Cari colleghi, è tutto sbagliato!

Nella nota del 17 marzo il MIUR spiega chiaramente cosa si intende per didattica a distanza precisando che essa deve prevedere un’interazione tra docenti e alunni attraverso la realizzazione di un ambiente di apprendimento da creare, alimentare, abitare, rimodulare di volta in volta. Sì, rimodulare! Il messaggio è chiaro: non si può pensare di insegnare online come si faceva in presenza, per varie ragioni.

Il tempo innanzitutto. Quello che passiamo con in nostri alunni oggi è più prezioso che mai e dobbiamo investirlo al meglio! Lavoriamo quasi tutti con un orario ridotto per limitare la permanenza (loro e nostra) davanti agli schermi e perché le difficoltà di connessione o la condivisione degli strumenti digitali con altri membri della famiglia (loro e nostra) non sempre ci permettono di interagire come vorremmo.

Lo spazio nondimeno. Ricordiamo che non siamo materialmente vicini ai nostri ragazzi e che, venendo meno la fisicità, risulta estremamente difficile tenere viva la loro attenzione e il loro interesse, già così labili in presenza. Per non parlare poi di altri fattori come l’imbarazzo o il disagio di  seguire le lezioni da casa in presenza del resto della famiglia per chi non dispone di uno luogo di studio tutto suo.

E ancora il tipo di strumenti utilizzati. Molti studenti possiedono a malapena uno smartphone che fino a ieri usavano solo per giocare o socializzare, ma che da oggi è diventato improvvisamente uno strumento di studio e lavoro, peraltro pure scomodo viste le ridotte dimensioni dello schermo. E su quello, dall’oggi al domani, si ritrovano a seguire le nostre lezioni, ad ascoltare noi che parliamo, illustriamo, ragioniamo, argomentiamo, dissertiamo, magari per una buona mezz’oretta e senza alcun ausilio visivo (esclusa la nostra faccia 🤓) se non qualche invito a consultare il libro di testo, che per tanti insegnanti rimane sempre e comunque l’unico e insostituibile punto di riferimento.

E se provassimo a capovolgere tutto?

C’è un approccio metodologico che ben si addice alla didattica a distanza, sembra nato per questa! Sto parlando della flipped classroom. Niente più lezioni frontali, nella classe capovolta la fase della spiegazione è demandata a un breve video o a del materiale digitale che sostituisce la spiegazione dell’insegnante e viene inviato in anticipo agli alunni che lo visionano prima della lezione in presenza (nel nostro caso prima della lezione sincrona) per fare propri i contenuti principali dell’argomento. I protagonisti dell’azione didattica sono i ragazzi, ai quali l’insegnante (dopo la visione del video) propone questionari, esercitazioni, attività cooperative, compiti autentici e sfidanti, seguiti solitamente da autovalutazione. Il principio su cui si basa la flipped classroom è che nella fase della comprensione e memorizzazione delle informazioni l’alunno ha bisogno di meno assistenza rispetto a quella, ben più impegnativa, dell’analisi e applicazione dei contenuti appresi, fino ad arrivare alla creazione di qualcosa di originale con ciò che si è imparato (tassonomia di Bloom).

Le piattaforme didattiche in uso in molte scuole permettono un alto livello di interazione con gli studenti attraverso strumenti di comunicazione, collaborazione e condivisione, agevolando dunque l’applicazione della flipped classroom. Perché allora preoccuparci di mostrare o tenere lunghe e noiose lezioni frontali in video durante i nostri incontri online con gli studenti? Chi ci garantisce che ci seguano (come del resto anche in classe 🤔)? Anche la creazione di propri contenuti didattici (video, presentazioni) di questi tempi è anti economica: è impegnativa, richiede specifiche competenze e strumenti, è spesso inutile potendo trovare sul web (quasi) tutto quello che ci serve, e infine – motivo principale per limitare al minimo questa pratica – ruba tempo alla preparazione e correzione di attività più significative e coinvolgenti da far svolgere agli alunni quando siamo collegati con loro.

Rimodulare la nostra azione didattica oggi è fondamentale per lavorare tutti con più serenità e armonia. Non pensiamo che eliminare la lezione frontale ci renda insegnanti meno efficaci o meno autorevoli. Pensiamo piuttosto che, limitando il nostro protagonismo, offriremo più spazio ai ragazzi e potremo seguirli più da vicino in questi difficili momenti, così come meritano e necessitano ora che sono distanti da noi.

Se riusciremo ad essere dei bravi “insegnanti a distanza” potremo gridare a gran voce che, nonostante tutto, #lascuolanonsiferma e che #andràtuttobene 😍

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Informazioni su Chiara Spalatro

Laureata in lettere moderne, insegna materie letterarie all'Istituto Comprensivo “Rodari Alighieri Spalatro” di Vieste (FG). E' animatrice digitale, Apple Distinguished Educator e formatrice nell’ambito delle nuove tecnologie applicate alla didattica. Insegnante capovolta dal 2015, pubblica le sue videolezioni sul canale YouTube che si chiama come lei e conta oltre 14.000 followers. Ha pubblicato numerosi articoli sulla didattica col digitale e la flipped classroom. Ha scritto insieme a Grazia Paladino due libri per Erickson sulla Didattica capovolta nella scuola secondaria di primo grado. Tiene corsi e seminari sulla flipped classroom e l'uso degli strumenti digitali nella didattica.

5 pensieri su “Insegnanti “a distanza”

  1. Purtroppo non penso che sia vero che si trova già tutto in rete.
    Io insegno italiano ad ispanofoni. Le spiegazioni delle differenze, delle somiglianze false (e vere), le ragioni degli errori, e, soprattutto, i materiali per lavorarci… non ci sono.
    Esistono pochi – encomiabili – lavori (partendo dal titanico “corso” di Manuel Carrera Diaz, e alcuni studi molto dotti, ma che non si traducono in materiali spendibili nelle aule e nei corsi attuali.
    Per questo gli ispanofoni continuano a registrare un tasso di errori quasi doppio rispetto ad apprendenti di lingue più lontane, come il tedesco (secondo studi realizzati per esempio da K. Katerinov negli anni ’80).
    Detto ciò: sono assolutamente a favore della “filpped classroom”. Ma se pretendo che i miei studenti imparino da soli a partire dai materiali esistenti, sia libri cartacei che altro, online… li metto in una bruttissima situazione, dato che tutto ciò che importa è nascosto tra le righe, non spiegato. Dovrebbero essere linguisti nati.
    Se mi mettessi a fare esempi, non finirei mai, ma forse ce n’è uno così enorme che può illustrare la tesi: quasi tutti i testi didattici insegnano prima il passato prossimo e poi l’imperfetto. Questo perché nelle lingue come l’inglese o il tedesco questi tempi non esistono ed è tremendamente difficile spiegare loro la differenza d’uso. Questo problema per gli ispanofoni non esiste, e l’enfasi posto su di esso nasconde il problema, ben più grave, dell’uso del passato prossimo al posto del passato remoto – che corrisponde a quello che nei paesi ispanofoni si usa maggiormente (semplificando assai). Tutto il sillabo risulta così “fuori fuoco” rispetto alle vere necessità degli studenti.
    E potrei andare avanti per ore. L’uso della “a” per introdurre complementi diretti personali, l’uso della perifrasi “andare a + infinito” con valore di intenzione o azione futura e non di movimento, l’abitudine di preporre l’avverbio al verbo, l’uso di “essere” per introdurre aggettivi e posizioni…

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  2. Chiara la tua è un’analisi perfetta della situazione che stiamo vivendo. Oggi, a mio avviso, stiamo avendo una grandissima opportunità sia sul nostro ruolo, determinante, sia sul nostro modo di fare didattica, che, finalmente, si spera venga svecchiato un po’. Grazie per i tuoi preziosi suggerimenti e in un bocca al lupo a tutti!

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  3. Mi sto premendo le meningi, ma fatico a trovare attività capovolte. Per ora ho assegnato la rappresentazione di Antigone, Edipo re e I persiani a gruppi. Sono riusciti a fare miracoli, tenuto conto che sono in luoghi diversi. E poi che fare se nella propria scuola vengono proposti strumenti inadeguati, messi su ad hoc in questi giorni? Deve prevalere il rispetto delle imposizioni o il diritto degli studenti ad avere una relazione con i propri docenti? (Biennio e terzo anno secondaria di II grado)

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